MARI CONTRAPPOSTI: ORIZZONTI

MARI CONTRAPPOSTI: ORIZZONTI

 

 PRESENTAZIONE PER LA MOSTRA BIPERSONALE “MARI CONTRAPPOSTI: ORIZZONTI”, DEGLI ARTISTI PIETRO FAGGIN E RODRICK DIXON GENTLY

 

Tradizione, resistenza e strenua difesa di un mondo che fu, simbolismo e spiritualità, sentimento della natura, presenza-assenza umana e pertanto la convenzione della temporalità e del trascorrere delle stagioni e delle epoche, dei cicli della vita, sembrano essere alla base del lavoro e della riflessione poetica dei due autori in oggetto: Pietro Faggin e Rodrick Dixon Gently, in cui l'esercizio dell'agireartistico appare essere motivato da un intenso e trascendente sentimento delle origini, e del radicamento umano, culturale, mistico e storico alla propria terra.

Due personalità apparentemente antitetiche ad un primo sguardo, rivelano in realtà un fondamento comune di istanze che unificano l'esperienza umana in una base condivisa, mediata da quell'elemento massimamente adattabile, nutriente e pervasivo che è il mare, la cui sussistenza si riflette anche laddove esso non è visivamente presente.

Pietro Faggin rispecchia appieno le modalità stilistiche e il linguaggio proprio alla rappresentazione veneta, e padovana nello specifico, della seconda metà del secolo scorso: un realismo interiorizzato, mediato dal filtro dell'emozione e del vagheggiamento malinconico, proprio dei luoghi e dei sentimenti che vi si rispecchiano e che diviene corollario immaginifico. Le sue scene cittadine, campestri, le vedute della laguna e delle montagne venete ci appaiono pressoché svincolate dal contesto da cui derivano, spogliate di superflui dettagli ridondanti e pressoché universalizzate, seppur riconoscibili e riconducibili ai luoghi originari: ciò perché essi arrivano ad assumere l'aspetto e l'effettiva sussistenza quali “luoghi dell'anima”, in cui eccessiva precisione fotografica turberebbe l'evanescente poesia del ricordo. Si tratta di opere talora meditate nella realizzazione, talora immediate e istintive, che ci fanno comprendere come esse andassero a costituire veri e propri racconti per immagini, fotogrammi del vissuto e della sensibilità, strutturati in un codice e in una sintassi ben definiti. E' per questo che l'artista si sentiva libero di accorpare, associandoli con estrema naturalezza e disinvoltura, scorci e prospettive, spesso distanti e apparentemente inconciliabili, per realizzare una sorta di mosaico di momenti pregnanti, il cui linguaggio era dettato da libere associazioni di stampo onirico, ma in cui l'inconscio dettava molto sapientemente le sue leggi, lavorando per figure retoriche quali la metafora, la sineddoche, la metonimia, la sinestesia.

Ci ritroviamo proiettati in un ambito in cui il trascorrere delle stagioni, che era ancora possibile riconoscere mutanti l'una nell'altra, era ancora fonte di gioia e gratitudine per i frutti offerti dalla terra, protagonista assoluta di queste narrazioni, possiamo percepire quale elemento attivo all'interno di composizioni ben strutturate ed orchestrate, la gioia che animava la loro creazione, nell'evocazione di tali eventi.

Molto importante la componente cromatica, fatta di toni forti, contrastanti seppur mediati da una dominante bruna e grigio azzurra, data dall'atmosfericità connaturata allo spazio di provenienza, storicamente insita in esso e nella rappresnetazione dello stesso. Brume e nebbie che si mescolano nelle acque cangianti della laguna, opacità che attrae e accoglie, come in un grembo nel quale non si può che sentirsi rassicurati e protetti, e pertanto lo sguardo si perde e la coscienza può permettersi di sfumare i contorni altrimenti troppo netti e spigolosi del reale, la pittura si stempera nel colore.

Di segno ad un primo sguardo opposto, i dipinti di Rodrick Dixon Gently rivelano anch'essi un profondo attaccamento alla tradizione orale, mitica e mistica del proprio Paese, la Giamaica, di cui erano nativi i suoi genitori, dai quali tali leggende gli sono state tramandate. Poiché di questi racconti non esiste quasi del tutto un corrispettivo scritto, il pittore li traspone sulle sue tele allo scopo di portarli a conoscenza delle attuali generazioni, conferirgli consistenza bidimensionale, fino a donargli vita plastica nelle sculture in ceramica.

I “Doopis” del suo immaginario non sono creature viventi, e possiamo evincerlo a prima vista dalla loro apparenza simpatica, giocosa e gioiosa, dal loro librarsi come inconsistenti al di sopra di paesaggi fantastici, scenari cittadini, architetture caratteristiche o sfondi astratti, intessuti di motivi decorativi e che in ogni caso ne testimoniano il leggero sollevarsi al di sopra della pesantezza della materia. Sono le anime degli antenati, quelle positive e colorate, i cui toni brillanti del giallo, rosso azzurro, verde e viola dominanti, ne riflettono il carattere e le caratteristiche peculiari, con le quali

ciascuno di essi è identificato: ognuno ha in dotazione un vizio, una debolezza, un'inclinazione particolare, sono divertenti e dispettosi, fanno percepire la propria presenza ai congiunti, agli amici, a coloro che sono in grado di riconoscerli e che ne sopportano gli scherzi e onorano la memoria. Anche per Dixon la gamma cromatica prescelta ha una valenza emblematica molto importante: i “Doopis” dai colori bruni e scuri sono negativi, come gli insegnava suo padre, pertanto egli sceglie di rappresentare soltanto quelli innocui e simpatici, seppure questi debbano altresì essere trattati con grande rispetto e considerazione, così come conviene a tutto quanto pertenga ad una dimensione spirituale parallela, vicina a noi ma che pure ha trasceso l'ambito della materialità.

Questi personaggi sono poi costituiti e affiancati da una serie di comprimari, che prendono il nome e le sembianze di vicini, conoscenti, persone note o inventate: Micellin, Timoti, Duncan, e i Ticolochis.
La luce è, allo stesso modo anche se con aspetto diverso, di importanza fondamentale: è una luce caraibica, nitida e tersa, con accensioni improvvise che creano bagliori simili ad epifanie, rivelazioni, e nei cui riflessi si riconosce l'influenza del mare.

Possiamo riconoscere nell'operato di tutti e due gli autori una componente di nostalgia comune, che è intrisa di dolcezza, valori ormai offuscati dalla frenesia del vivere, misura e gentilezza; il legame imprescindibile alla propria provenienza: geografica, culturale, umana, spirituale; un importante fattore di trascendenza, che trasforma il pretesto della raffigurazione in un tramite per veicolare significati oltre la materia, che pongono in evidenza l'eterno perpetuarsi dei cicli naturali di nascita- morte e rigenerazione, ripercorrendo il contesto che nulla si distrugge, ma tutto torna alla sua matrice, e di qui una religiosità della natura, quasi panteistica, che la eleva ad elemento imprescindibile e vitale per l'uomo; la presenza-assenza umana, la quale sta a testimoniare che egli non è signore e padrone e la sua esistenza non modifica quella della natura e del suo perpetuarsi, ma allo stesso tempo che egli è signore e padrone del proprio personale e singolare universo, nel quale la natura è regina, e che consta di un corollario di aspetti differenti, fra cui gli affetti, e l'immaginario fantastico.

Le opere di entrambi gli artisti insegnano allo spettatore a riflettere sul significato dell'esistenza, sul proprio posto nel mondo e in rapporto ad esso e sulla necessità di astrarre, superando le barriere della fisicità, alla maniera “chagalliana”, ovvero sollevandosi allegramente dalle cure terrene, nelle opere di Dixon, oppure estraniandosi semplicemente dal contesto, osservandolo dall'esterno, nei dipinti di Faggin. Questo “uscire fuori da se stessi”, che sia per una dinamica di vita-morte, oppure per un'alienzione volontaria è molto importante per farci capire quanto sia necessario attribuire minore peso alla materialità contingente, troppo spesso fonte di discriminazioni e contrasti, per volgere lo sguardo a tematiche maggiormente universali, distoglierlo verso prospettive più luminose e gradevoli.

Pietro Faggin nasce a Padova il 14 maggio 1942. E’ molto giovane e già appassionato di musica quando, grazie al profondo affetto che lo lega al Maestro Riccardo Galuppo (“Il Pittore Senza Mani”), suo caro amico e cognato, si appassiona anche all’arte pittorica, passione, quest’ultima, che coltiverà negli anni a venire. Amante della natura, attento osservatore, nonchè sognatore, le sue molteplici opere (olio su tela, tavola, ceramica...) sono volte a rappresentare i luoghi a lui più cari: la sua Padova, le colline e le montagne venete, il mare: “I colori vividi hanno la luce del mare!” diceva. Pietro quei colori li ha strappati dalle case di Burano per portarli sulle tele. Ha rubato gli intonaci cadenti delle case diroccate, il muschio dei casoni della campagna veneta, le note armoniche della vita rurale e, della sua vecchia ed amata Padova, ha saputo cogliere e trasmettere il silenzio di quando, da bambino, Padova era tutta sua. Con i suoi dipinti ha partecipato a numerose mostre collettive incontrando il consenso e l’apprezzamento di pubblico e critica. Deceduto il 7 novembre 20008, rimane nella memoria di molti come “L’Anima di Padova” Attestazioni rassegne pittoriche 1996 - XVIIa Mostra di Pittura per Dilettanti– CSC ZIP - Padova 1998 - Rassegna pittoria ZIP – Padova 2000 – Va Biennale di Pittura – CSC ZIP - Padova 2000 - 3° Concorso di Pittura “La Certosa” - Vigodarzere 2002 - 4° Concorso di Pittura “La Certosa” - Vigodarzere 2004 – VIIa Biennale di Pittura – CSC ZIP - Padova 2002 - 5° Concorso di Pittura “La Certosa” -

Vigodarzere 2006 – VIIIa Biennale di Pittura – CSC ZIP - Padova 2006 – 8° Concorso di Pittura “La Certosa” - Vigodarzere 2008 – IXa Biennale di Pittura – CSC ZIP - Padova

Rodrick Dixon Gently è nato a Vertientes Camaguey Cuba l’11 marzo 1953, ha studiato Arti Applicate presso l’Accademia d’Arte di Camaguey Cuba, terminando gli studi elementari nel 1972 e nel 1982 ha terminato gli studi superiori a L’Avana Cuba. È membro della Unione degli Scrittori di Cuba. È stato professore alla Camaguey Cuba Art Academy per più di vent’anni fino al suo pensionamento nel 2019. Ha tenuto diverse mostre personali e collettive dentro e fuori Cuba, Francia, Italia, molte delle sue opere sono in collezioni private in Giamaica, Stati Uniti, Francia, Costa Rica, Germania, Venezuela e Cuba. Ha pubblicato due libri e ne ha illustrati diversi per scrittori cubani. Attualmente svolge il suo lavoro tra Francia e Italia con il suo progetto Doopis through Europe


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